I COLORI DELLA BIRRA

I colori della birra: non è tutto “oro” quello che luccica


“Bevi una nera? Allora ti piacciono le irlandesi!”

“Ma dai, ami le ambrate... anch'io adoro la birra 'doppio malto'!”

“Non riesco a bere birre sopra ai 6 gradi... dammi una 'chiara'! Le 'rosse' sono troppo forti”




Sono davvero tanti i luoghi comuni che riguardano la birra ed hanno a che fare col mondo dei colori. Già, perchè... non è tutto oro, quello che luccica (laddove per oro, con molteplici sfumature, intendiamo ovviamente la birra).

Giusto per sfatarne qualcuno, la birra “rossa” ad esempio non esiste (al massimo si parlerà di birra più o meno intensamente “ambrata”), così come la “scura” (e non “nera”) non si produce affatto solo nell'arcipelago britannico, ma è caratteristica anche di Germania o Belgio, per non dire da ultimo che una “chiara” non è necessariamente leggera, ma può arrivare ad esser forte come un vino.

Insomma, nonostante il colore sia uno degli elementi importanti per valutare una birra, non è sicuramente un dato grazie al quale incasellarla automaticamente in una categoria predefinita. Il colore, infatti, non dipende dallo STILE, ma unicamente dalla tostatura del malto d'orzo (o dall'eventuale aggiunta nel mosto di ingredienti “extra”, come le ciliegie nella kriek, per intenderci), i cui chicchi vengono essiccati e tostati a diverse temperature. Una birra di frumento, per fare un esempio, potrà essere quasi bianca oppure persin scura.

Insomma, chiedere al pub una “rossa” o una “bionda” non solo è tecnicamente sbagliato, ma significa anche chiedere qualcosa di assolutamente opinabile. Classificare le birre per colore, lo abbiamo capito, non ha alcun senso: la prima fondamentale indicazione per “codificare” una birra dev'essere semmai lo “stile” (come ad esempio weisse, lager o IPA), famiglia della quale fanno parte poi sfaccettature essenziali quali gradazioni alcoliche diverse (una “rossa” inglese sta attorno ai 4 gradi, ma una belga può raddoppiare con uno schiocco di dita). Vengono poi i gradi di luppolatura (che dà amaro ed aromi) più o meno intensi, e la presenza di ingredienti aggiuntivi particolari come le spezie o frutta.

Un altro “piccolo” segreto che vi diciamo sottovoce: anche la “doppio malto” non esiste. E' un'anomalia tutta italiana. Ha finito per indicare genericamente birre “forti”, ma in realtà quasi nessuno sa di preciso cosa voglia dire: per alcuni vuol dire che è stato usato il doppio del malto, per altri che ne sono stati usati due diversi... e altre stramberie. E invece è solo una misurazione (da 14.5 punti in su nella scala saccarometrica grado plato) della densità del “mosto” prima che fermenti e diventi birra ma che non c'entra direttamente con la quantità d'alcol. E' una categorizzazione che serve insomma alla legge italiana per capire come tassare i produttori, anche se in realtà da un mosto denso e zuccherino può scaturire alla fine una birra di pochi gradi, così come può benissimo accadere il contrario. E' un discorso, questo, che ben si lega anche alle anomalie legate al colore: una scura può avere, infatti, meno di 4 gradi, una pallidissima strong ale può anche arrivare a 10. Quindi andateci coi piedi di piombo.

Ad ogni modo colore e limpidezza restano parametri fondamentali nell'analisi di una birra, tanto che il colore è misurato secondo una precisa scala di intensità codificata a livello internazionale chiamata SRM (Standard Research Methods). Un paio d'esempi: una chiara pilsner misura 3 SRM, mentre una scura porter arriva a 29. La misurazione, se un tempo avveniva per confronto visivo fra una scala di colori standard, oggi è affidata a moderne tecniche spettrofotometriche. 

Ecco, per finire, tutti i gradi della scala SRM:


2 SRM = Giallo paglierino chiaro
3 SRM = Giallo paglierino
4 SRM = Giallo dorato chiaro
6 SRM = Giallo dorato intenso
9 SRM = Ambrato tenue
12 SRM = Ambrato brillante
15 SRM = Ambrato intenso
18 SRM = Ambrato tendente al marrone
20 SRM = Tonaca di frate o marrone
24 SRM = Marrone con sfumature rossastre
30 SRM = Marrone intenso
40 o + SRM = Nero



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