venerdì 8 maggio 2015

Un "toscanaccio" con la birra nel sangue: Moreno Ercolani dell'Olmaia

Ci guardavano male e parlavano alle nostre spalle”. Comincia così, con un’affinità elettiva, l’incursione del birrificio Olmaia da Sant’Albino di Montepulciano, sui colli senesi, all’appuntamento di martedì del ciclo mensile #BirraioInSalotto al Baladin Milano. Due birrai, due “pionieri” in controtendenza, Teo Musso e Moreno Ercolani,  nati entrambi in "feudi" vinicoli

Moreno Ercolani e Teo Musso
Frequenze destinate a incrociarsi ante litteram: “Nel nostro paesello, avevamo un solo bar, ma aveva la Super: praticamente, una sera sì e una no ce ne facevamo una… Ah, e comunque non è vero che negli anni è cambiata: il fatto è che siamo cambiati noi!”, ha confessato sorridendo il birraio toscano.

Il colpo di fulmine s’abbatte fra i due nel 2003 a “Una birra per l’estate”, a Piozzo (Cn), nel quartier generale di Baladin (evento per appassionati della birra fatta in casa poi trasformatosi nel tempo ne “La guerra dei cloni”). “All’epoca era difficile anche trovare il malto… E gli homebrewer si conoscevano tutti: Leonardo Di Vincenzo (mattatore a febbraio a Rimini al prestigioso “Birra dell’anno”, ndr) ha preso certe ‘pettinate’, arrivando anche fra gli ultimi, agli inizi”, ha rivelato il mastro senese.

Due anni dopo, nel 2005, nasce in un casale del 1930 sperduto nel parco della Val d’Orcia l’omonimo birrificio: Olmaia è il primo vagito artigianale in terra di Toscana. “Appena aperto ci sono stato subito - ha confessato Musso - All’epoca era un po’ una mia regola, mettersi a disposizione di tutti gli emergenti (oggi sarebbe materialmente impossibile, vista l’esponenziale proliferazione) per crescere insieme”.

Eppure, dopo tanta Super, Ercolani ha anche valicato gli Appennini per “lavare i panni” nel lago di Como. “Agostino Arioli - fondatore del Birrificio Italiano, ndr - ha un casale non lontano da noi e amici in comune, sapendo che volevo aprire un birrificio, mi hanno spinto ad andare a fargli visita. Ma io sono un tipo molto schietto: non ho seguito il suo stile perchè per fare birra a bassa fermentazione ci vogliono molta tecnica, un’acqua ‘giusta’ e molto tempo (per maturazione e lagerizzazione): partendo da una piccola realtà è praticamente impossibile…”.

Oggi l’Olmaia è una delle realtà più quotate del panorama nazionale delle artigianali ed esporta con successo anche in estremo Oriente (Thailandia, Taiwan, Singapore). “Le prospettive qui in Italia non sono rosee. Non tanto per la birra, è il clima generale che non è favorevole”, ha ammesso non senza preoccupazione il birraio.


Il pubblico di via Solferino ha potuto degustare in sala “La 5”, golden ale fatta da Ercolani prima in casa, poi messa a punto in birrificio. Malto pils tedesco, due luppoli, uno tedesco e uno sloveno, niente spezie. “La sua forza è l’immediata riconoscibilità - ha commentato Ercolani - Il nome? Dalla mia prof d’Italiano - ha rivelato tra il serio e il faceto - Anche se, in realtà, è semplicemente il numero della cotta, che tenevo segnato a pennarello sul tappo. L’attuale compagna di Teo l’ha scelta come migliore fra 100 spine: quando lui m’ha chiamato per ordinarla, devo ammettere che è stata una bella emozione…”. 

Poi la platea ha avuto modo di assaggiare la “Tangerine”, ispirata a un celebre brano dei Led Zeppelin (“Dopo la birra, la mia più grande passione è quella per la musica”, ha con fidato il birraio-musicista), fatta con ingredienti tutti a stelle e strisce (luppoli in primis), seguendo un filone "georeferenziato" che ha dato vita, invece in chiave inglese, ad esempio a un’altra creazione come la bitter Starship (altro riferimento “zeppeliano” al boing usato per le tournée dalla band di Jimmy Page e Robert Plant).

Roma comanda il mercato della birra artigianale in Italia - è stato un inciso della chiacchierata - Lì al momento siamo a livelli tali di IBU (la scala di misurazione dell’amaro, che segue di pari passo la luppolatura, ndr) che la Tangerine sarebbe quasi considerata una birra dolce! In Rete c’è anche chi ne ha contestato l’ammostamento… ma se a te piace, nel bicchiere: mi dici che te ne frega?”.

Infine in sala la “Duck”. Malto e lieviti belgi, ma luppoli americani (“Il nome deriva dall’anatra... un modo di dire toscano per tradurre la sbornia").

Mi considero un nerd della birra - ha concluso Ercolani - Sono un toscanaccio a cui piace far ciò che gli piace…”. Sì, ma… e le beerfirm? “Ben vengano, non me ne importa nulla… ma - ha precisato il birraio - devono scrivere in etichetta chi sono! In Italia manca un regolamento che dica che tu brewfirmer sì hai messo l’etichetta e l’hai commercializzata, ma che l’ha fatta il birraio Tizio o il birraio Caio”.

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