giovedì 25 settembre 2014

#BirraioInSalotto “Birra artigianale colpa di Teo? Le IPA tutta colpa di Leo” #milanobeerweek

L'attesa ripresa del ciclo #BirraioInSalotto al Baladin Milano fra gli appuntamenti più in vista della Milano Beer Week, festival diffuso in 18 locali del circuito meneghino, ideato dal giornalista Maurizio Maestrelli, a cavallo fra incontri, menu in abbinamento, tap takeover, presentazioni di libri e guide a tema, serate d’intrattenimento.

Nel locale di via Solferino, sold out per l'occasione, a salire in cattedra è stato questa volta Leonardo Di Vincenzo del birrificio Birra del Borgo di Borgorose, in provincia di Rieti. Ospite del patron Teo Musso, il mastro birraio si è raccontato senza esitazioni, intervistato da Alessio "Islaz" Franzoso.

Leonardo Di Vincenzo, Alessio Islaz, Teo Musso e Valentina Brambilla
Una storia affascinante quella del Birrificio del Borgo, che nel 2015 festeggerà il decimo anniversario dalla nascita. C'era, infatti, una volta un ricercatore universitario di nome Leonardo Di Vincenzo, che un giorno è rimasto preda di un “raptus di follia” e ha trasformato in un lavoro quella che fino a quel momento era stata solo una viscerale passione.

Da studenti, con quattro soldi in tasca, abbiamo cominciato a fare la birra in casa banalmente per garantirci uno stock alcolico accettabile durante le feste universitarie – ha confidato – Ma quell'incontro si è comunque trasformato per me in un vortice incredibile di storie, tradizioni, culture. Per anni le mie successive vacanze sono diventate peregrinazioni per l'Europa, alla scoperta di tutti i tipi di birra”.

Poi, la “pazzia”. "Quando è uscito su una pubblicazione universitaria un mio articolo (al quale avevo lavorato a lungo e con fatica) senza firma – ha rivelato -  ho mandato tutti letteralmente a quel paese e voltato le spalle a quel mondo. Ci sono voluti tre anni per prendere il largo con la produzione: quando abbiamo aperto, nel 2005, a Roma c'erano forse solo quattro o cinque locali che servivano birra artigianale. E le artigianali alla spina erano addirittura fantascienza”. 

Nel 2007 ha aperto Bir&Fud (con Di Vincenzo e Manuele Colonna del pub “Ma che siete venuti a fa” alle birre e Gabriele Bonci al cibo) e da lì è stata una vera e propria reazione a catena. “Con Teo, che aveva già in mente un progetto simile, abbiamo quindi dato alla luce l'Open Baladin Roma, che ha fatto da ulteriore cassa di risonanza”.

Oggi il Borgo è fra le etichette più apprezzate (fra i birrifici della “seconda ondata”, spicca nel panorama del centro Italia al pari del Ducato di Giovanni Campari in pianura padana, col quale non mancano diversi punti di contatto a livello di varietà di stili prodotti e meticolosità “tecnica”). “Parafrasando il titolo di un articolo di qualche tempo fa, se in Italia “La birra artigianale è tutta colpa di Teo”, insomma le IPA sono tutta colpa di Leo”, è stata l'efficace battuta di Islaz. 

Al Baladin, Di Vincenzo ha, infatti, portato in primis l'ormai famosa “ReAle”, prima IPA (India Pale Ale) italiana. “Era quella che facevo in casa da hombrewer – ha raccontato - Un'antesignana delle luppolate oggi tanto di moda, con note agrumate dal luppolo, caramellate dal malto. 'E' una birra che non riuscirai mai a vendere', mi dicevano all'inizio. E invece...”. Poi in sala anche la acida ai lamponi “Rubus” e la “Equilibrista”, con mosto di Sangiovese fermentato insieme alla birra per tre mesi, poi imbottigliato con Metodo classico, con tanto zucchero per la rifermentazione, e lasciata un anno a riposo. 

Fra i temi della chiacchierata anche, uno tanto attuale quanto caldo, le Beerfirm (chi fa produrre una ricette ad impianti di terzi). “Non c'è rischio d'impresa, è questo che non va nel concetto di Beerfirm: manca la vera anima del birraio – ha rilevato - Mi viene in mente un aneddoto recente, una notte passata in bianco a pulire i filtri di un fermentatore che s'erano otturati durante un “dry hopping” (l'aggiunta a freddo di luppolo al mosto): al titolare di una beerfirm non sarebbe mai capitato, sarebbe stato tranquillamente a letto a dormire. Ultimamente mi sono anche giunte delle richieste e, dovendo aprire uno stabilimento in Australia, anche economicamente ci avrebbe fatto comodo, ma ho detto no. Senza nessun problema”.

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